L'Aquila. A dieci anni dalla notte del sisma

di M.L 05/04/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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Una notte di inizio aprile di dieci anni fa, con una bella luna piena e un clima ancora freddo. Una notte tra la domenica appena trascorsa e il lunedi che si avvicina con i ritmi lavorativi che stanno per riprendere. Alle 3.32 a L’Aquila si dorme. Non tutti ci riescono, da settimane uno sciame sismico preoccupa molti, non abbastanza le autorità che proprio una settimana prima avevano minimizzato i rischi. Quella notte, due e tre ore prima, c’erano state scosse più forte delle precedenti e così qualcuno aveva deciso di non dormire a casa. Ma L’Aquila tutto sommato dorme quando alle 3.32 di quel lunedi 6 aprile che stava per fare ripartire le consuete attività arriva la scossa più forte, quella che a cui nessuno pensa o spera che possa mai accadere.

Il terremoto è terrore, è sgomento è incredulità e tutti questi terribili sentimenti sono stampati sui volti degli aquilani e degli abitanti dell’interland colpito quando le impietose telecamere dei media giungono sui luoghi del disastro. Quella delle 3 e 32 non è neppure una scossa forte come altre che il nostro paese ha subìto ma è lunghissima, interminabile. IN pochi secondi le onde sismiche attarversano centinaia di chilometri. Anche Roma a 100 chilometri dall’epicentro si sveglia e così Perugia, Pescara, Terni, Rieti e tutte le città e i borghi dell’Appennino.  

I palazzi sbriciolati, il terrore di vedere cosa fosse rimasto dietro la polvere che avvolgeva la città, la speranza dei primi salvati dalle macerie, il dolore per chi non ce l’aveva fatta.

 Negli occhi la paura di dover immaginare la dimensione delle conseguenze del terremoto di 5.8 della scala Richter (con magnitudo momento di 6.3).

 309 morti, 1.600 feriti, quasi 80mila sfollati nella prima ora e danni per 10 miliardi di euro solo in provincia dell’Aquila, senza contare i 56 Comuni del cratere sismico.

Oggi L’Aquila è una città risorta solo per metà. 

Mentre infatti la ricostruzione privata è ormai in dirittura d’arrivo, con quasi i due terzi delle case ricostruite e la parola fine che potrebbe essere messa già tra quattro anni, diversa è la situazione della ricostruzione pubblica ferma a metà. Come pure quella delle frazioni dell’Aquila, a partire dalla tristemente nota Onna che dieci anni fa fu epicentro del terremoto, e dei Comuni del cratere. Un percorso complesso che purtroppo è andato rallentando negli anni, anche se era partito subito dopo la tragedia con le migliori intenzioni.

La macchina dell’emergenza si attivò subito con l’allestimento di 176 tendopoli e di una lunga lista di strutture ricettive sulla costa abruzzese che aprirono le porte per ospitare chi era rimasto senza casa. In molti però, proprio per non lasciare il territorio, scelsero di rimanere alcuni mesi in tenda in attesa che, a partire da settembre 2009, venissero consegnati in periferia dell’Aquila i 19 villaggi del Progetto Case (4300 alloggi antisismici costati oltre 700 milioni di euro) e 1200 Map (moduli abitativi provvisori) nelle frazioni e nei comuni del cratere. Molte polemiche, con annesse inchieste al seguito, suscitarono sia i palazzi ecatombe che le soluzioni abitative scelte dall’allora governo Berlusconi, anche per il fatto che nel 2014 crollò uno dei balconi di una palazzina a Cese di Preturo (seguito da altri tre cedimenti), oltre che per qualche caso di infiltrazioni d’acqua in alcune palazzine a Roio.

Sta di fatto che, al netto dei problemi, la popolazione aquilana prima dell’inverno successivo aveva un tetto sulla testa. Molta parte della ricostruzione la si deve alla solidarietà e al lavoro di tante associazioni di volontariato. In primis la Chiesa italiana che attraverso la Caritas negli anni ha realizzato oltre quarantotto centri di comunità nel cratere, grazie alla generosità delle diocesi italiane e alla Colletta nazionale che ha raggiunto 27 milioni di euro a cui sono stati aggiunti altri 5 milioni donati dalla Cei. Con il passare dei mesi, però, le promesse roboanti di ricostruire tutto in cinque anni si sono scontrate con i problemi reali legati all’impianto legislativo, alla burocrazia imposta dal percorso di ricostruzione e a lacci e lacciuoli che hanno portato a rallentare, se non a bloccare del tutto in certi casi, la rinascita della città.

Oggi a dieci anni di distanza spesso restano gli scheletri delle vecchie scuole, abbandonate e non demolite, dalla Mazzini alla Carducci all’Istituto d'arte Muzi. Da diversi anni sono disponibili 44 milioni ma le uniche scuole ricostruite e rientrate in centro storico sono due private. I bambini e i ragazzi delle tante pubbliche vanno ancora a lezione nei MUSP, i Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio che nel settembre 2009 fecero fronte all'emergenza. "Sono pur sempre lamiere", sottolinea Silvia Frezza della Commissione Oltre il MUSP. Ci sono dunque bambini e ragazzi che non hanno mai conosciuto una scuola vera.

L'Aquila è passata dalla fase emergenziale ad una ordinaria senza considerare che qui la ricostruzione pubblica avrebbe bisogno di norme differenti, afferma il sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi, il quale ha da poco archiviato una crisi nella giunta. Senza considerare "le farraginosità del nuovo Codice degli appalti. Quello che ho a più riprese chiesto al governo – è l'appello del primo cittadino - è la possibilità di ricorrere a procedure più snelle e veloci, ovviamente sempre nell'ambito di un quadro normativo rispettoso della legalità”.

Un discorso a parte va fatto per le 60 frazioni del capoluogo: ad esempio Onna, Paganica e Tempera mostrano evidenti i segni dei ritardi. In alcuni luoghi il tempo sembra essersi fermato alle 3:32 di quel 6 aprile di 10 anni fa. Il dato complessivo dei contributi concessi per tutte le frazioni è pari a 1.627 istruttorie per un totale di 6.765 unità immobiliari. Per le frazioni Il Comune assicura di essere prossimo a varare misure “in grado di dare nuovo impulso all’approvazione delle pratiche e ad avviare i cantieri in tempi rapidi”.  Discorso simile per alcuni dei 56 Comuni del cosiddetto cratere sismico, di cui non si parla quasi mai, dove la ricostruzione muove appena i primi passi. 

In che stato si trovano le 19 New Town, che dal 2009 furono costruite per ospitare 16 mila aquilani? Molte già dagli anni scorsi hanno perso pezzi, come a Cese di Preturo dove sono caduti i balconi e sono stati messi i sigilli. In quelle ancora in buono stato e nei Map, le casette monofamiliari di legno, vivono ancora tremila sfollati. Di sicuro questa redistribuzione della popolazione ha contribuito a dilatare la città lungo un asse viario di oltre 30 chilometri, con incremento esponenziale dell'uso dell'automobile.

C'è poi la ricostruzione immateriale. E quel dopo è ancora molto lontano dalla vita di prima. Il cuore della città è il più grande cantiere d'Europa e come tale è un enorme dedalo di vie, circa 177 ettari, percorse da mezzi di operai e betoniere, dove è assordante l'eco dei martelli pneumatici ma non si sentono gli schiamazzi di bambini. Il centro storico è ancora praticamente disabitato: vive di giorno con gli operai e la sera del fine settimana con la movida. Hanno aperto circa 80 attività commerciali, un dato ben lontano, ricorda Confcommercio L'Aquila, dalle oltre mille botteghe di prima del terremoto. 

Questi pionieri che hanno scommesso sulla ripartenza del centro storico sono oggi a rischio chiusura, scontano l'assenza di residenti. Quello che chiedono a gran voce è la realizzazione di parcheggi, il rientro di uffici pubblici, banche e poste per far tornare un flusso. Il Comune sta lavorando sul rientro di alcuni enti e su tre grandi posteggi ma i tempi non saranno brevi. Il sindaco respinge al mittente le critiche di chi parla di “città ferma". Quello dell'Aquila, ricorda, è "il più importante esempio di rigenerazione urbana dal dopoguerra ad oggi".

E poi ci sono le indagini, i processi, le responsabilità. Tra questi anche i magistrati che dal 2009 a oggi solo per i crolli del dopo sisma hanno aperto 200 fascicoli d’inchiesta. “Di questi nessuno è caduto in prescrizione – spiega al fatto Quotidiano il pubblico ministero Fabio Picuti -.

Diciannove indagini si sono chiuse con un rinvio a giudizio e alcuni processi, arrivati fino in Cassazione, si sono conclusi con l’accertamento della responsabilità penale e condanne per crollo colposo o omicidio colposo”. La pena massima irrogata è stata di quattro anni. Ma le sanzioni, sottolinea il pm, non sono importanti. “Dal terremoto abbiamo capito che non è lui a causare vittime. Le vittime sono sono causate da coloro che costruiscono gli edifici, o li progettano, senza rispettare le regole. È questa l’origine della tragedia”.

E infine c’è la gioia smarrita degli aquilani e di tanti abruzzesi.

 Alessandro Rossi, direttore del Servizio di psichiatria e del dipartimento di Salute mentale Asl 1 Abruzzo dice: “Dopo i primi due anni, quando tra la popolazione sono emerse grosse difficoltà psicologiche, problemi emotivi e la fuga dalla città, si è aperta una seconda fase – ricostruisce Rossi analizzando gli ultimi studi in un’intervista ad Adnkronos– con la presa di coscienza delle difficoltà e poi una terza fase che è quella che stiamo vivendo oggi, a dieci anni dal terremoto. Una situazione in cui c’è ancora da fare, ma molto è stato fatto. All’Aquila c’è un clima tutto sommato positivo e guardando gli indicatori degli accessi ai dipartimenti di Salute mentale dell’Asl si ha la sensazione che la ‘punta dell’iceberg’ delle persone con disturbi o problemi psicologici non è aumentata, anzi è diminuita. Va ricordato anche che c’è stata una fuga dalla città quantificata in 10 mila residenti andati via”.

Ma attenzione – chiosa Rossi – questo non vuole dire che non c’è più il disagio. E’ più sommerso, rimane confinato nella sfera familiare e molto spesso non arriva ai nostri centri. Probabilmente ci si rivolge di più al medico di famiglia o a specialisti privati, il Centro di salute mentale non è la struttura idonea ad accogliere questo tipo di domanda. C’è invece una forma di resilienza, dove effetti negativi si intrecciano con quelli positivi, innescando però risposte adattive”.

 Il tessuto sociale va ricostruito e va fatto in fretta. Scuole, università, uffici, ospedali, piazze, strade, negozi, attività, sport, tutto questo serve a fare di un semplice agglomerato di case e palazzi una città, una comunità viva, solidale e proiettata verso il domani.

L’Aquila, a dieci anni dal 6 aprile, ancora ha bisogno e aspetta questa ricostruzione morale e materiale.

 

 


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